Quante volte al giorno capita di dire e di sentire le persone pronunciare queste parole: “Non ho tempo”, “Non basta mai il tempo per fare tutto”, “Non ho più tempo per me”, “Sì, mi piacerebbe ma non ho il tempo”, e così via. Se ci pensate sembra che la percezione del tempo sia equiparata a quella di un oggetto animato che non c’è più, che ha fatto qualche torto andandosene, quasi fosse un nemico dell’uomo che va punito e verso il quale occorre riversare tutta la rabbia che si prova.
E’ proprio così? Mi chiedo se questo non sia un modo per togliersi la responsabilità rispetto al modo con cui si gestisce il proprio tempo, per molti si tratta di questo. Certamente è un dato di fatto che le esigenze e le priorità delle persone siano cambiate, o meglio, aumentate e che il tempo a disposizione sia rimasto lo stesso: 24 ore al giorno di cui 7/8 per dormire e riposarsi, ma allora davvero si vuol credere che il destino attuale dell’essere umano sia quello di essere “Vittima” del tempo “Persecutore”?
Sono certa che la domanda più utile da fare sia “in che modo le persone s’impediscono di gestire il proprio tempo arrivando a minacciare il proprio benessere?”. Quando le persone hanno la percezione di “non avere tempo” sono vittime di se stesse, del proprio “copione di vita” che hanno costruito fin dall’infanzia e che desiderano perpetuare (e che se vogliono possono cambiare!).
In relazione a quanto ho scritto, ci sono persone che ad esempio si sentono insoddisfatte perché hanno l’abitudine di riempirsi le giornate di attività (di lavoro e non) fino a scoppiare e senza vedere alternative protettive a se stesse, anzi, per queste persone sembra funzionale arrivare a fine serata distrutti per poter dire “sono quasi morto ma sono riuscito a fare veramente tante cose”. Secondo voi, cosa hanno imparato queste persone nella loro vita? Di certo che sono “OK” solo se lavorano sodo, se si sbrigano, se fanno sacrifici, forse, hanno imparato anche che sono “OK” solo se dimostrano agli altri di aver raggiunto ottimi risultati. Ecco, queste persone che si considerano insoddisfatte e sofferenti, possono percepire di non avere tempo, ma non si concedono il tempo più importante, quello per loro stesse, perché quel tempo hanno imparato a non contemplarlo; parlo del tempo in cui si ascoltano i propri bisogni, in cui ci si ferma un attimo e ci si domanda “cosa è importante per me oggi?”, “cosa desidero veramente? E che significato ha per me oggi questo desiderio”.
Lavoro ogni giorno in una Unità Operativa di Oncologia, dove il tempo è percepito come tiranno sia dai pazienti, sia dagli operatori (medici e infermieri). Un giorno un’ infermiera mi disse che la percezione del suo tempo durante le ore lavorative era cambiata nel momento in cui si era concessa di fermarsi un istante, di rispettarsi nel momento in cui si sentiva dispiaciuta per la progressione di malattia di un paziente e quando lo confidò alla sua collega: in quel momento ha deciso di concedersi tempo.
Ovviamente le parole che sto condividendo con voi lettori hanno l’obiettivo di stimolare una riflessione a chi non è soddisfatto del modo con cui affronta le proprie giornate e augurandovi di regalarvi il “giusto” tempo, vi lascio con una frase scritta da un paziente che ha scoperto il significato dei suoi preziosi momenti.
“La serenità è ascoltare tra piante e cespugli la voce del vento e sentirsi parte dell’universo”