Vi siete mai soffermarti ad osservare quello che fate per proteggervi da critiche esterne, da situazioni sociali particolari e quindi da vissuti emotivi, come la tristezza, la disperazione, la paura, la rabbia, il senso di solitudine, il senso di colpa o nei confronti di altro ancora?
Ci sono delle persone che si isolano, altre usano l’alcool o le droghe per distanziarsi emotivamente dal problema, altre ancora usano il cibo per avere un controllo su di sé o per evadere in un tempo e in uno spazio sicuro (privo di pregiudizi? Di doveri?) e solo per indicarvi alcuni dei comportamenti con finalità simili a quelle elencate.
Alcuni autori definiscono tali comportamenti come difese, acting out (cioè azioni impulsive che esprimono una situazione di conflitto senza averne consapevolezza); io ho adottato il modello di alcuni autori (il primo dei quali è il mio grande maestro Prof. Pio Scilligo che ricordo con stima e affetto) che spiega come ciascun individuo impara ad affrontare gli eventi della vita in base alla propria storia personale e come meglio può fare in un dato momento.
Gli individui che scelgono di adottare comportamenti disfunzionali vedono in tali azioni l’àncora di salvezza da disagi emotivi vissuti come estremamente pericolosi. Queste persone non sono consapevoli di avere tutte le risorse necessarie per poter scegliere qualcosa di diverso per sé stessi e quindi per potersi proteggere con modalità sane; ma in situazioni percepite come distruttive e pericolose le proprie risorse non vengono viste per l’urgenza di trovare protezione immediata, tuttavia con una funzionalità a breve tempo e che può sfociare in patologia.
E’ sano e fisiologico potersi proteggere da disagi emotivi ma è utile esserne consapevoli e poter rispondere alla domanda “oggi, questo mio comportamento è un buon modo per prendermi cura di me stesso?”